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Stàzio, Pùblio Papìnio.

Poeta epico e lirico latino. Trascorse la giovinezza nella natia Napoli, dove insegnò retorica e si dedicò alla poesia, partecipando a numerosi agoni poetici; dotato di vena facile e piacevole, riscosse ben presto una fama considerevole e, intorno all'80, ottenne il primo premio negli importanti giochi augustali, che si svolgevano a Napoli con cadenza quinquennale. I successi conseguiti lo indussero a trasferirsi a Roma; qui tenne pubbliche letture, scrisse una pantomima (Agave) per Paride e si dedicò alla composizione sia di poesie di carattere lirico, sia del suo primo poema epico, la Tebaide, guadagnandosi in breve la stima della società letteraria del tempo e i favori dell'imperatore Domiziano, nei confronti del quale mantenne un atteggiamento cortigiano. Vittorioso nell'agone albano con un carme (di cui sono pervenuti solo quattro versi) che celebrava i successi militari di Domiziano nelle campagne contro i Germani e i Daci, S. ricevette la corona d'oro dall'imperatore, che volle così ricompensarlo della sua devozione. Tuttavia, la permanenza di S. a Roma non si protrasse ancora a lungo; nel 94 abbandonò Roma e si ritirò a Napoli, dove la morte lo colse mentre attendeva alla stesura del suo secondo poema epico, l'Achilleide, che rimase perciò interrotto alla metà del secondo libro. Della produzione di S. sono pervenuti l'intera Tebaide, poema epico di ispirazione e imitazione virgiliana, che in 12 libri descrive la lotta fratricida di Eteocle e Polinice sotto le mura di Tebe; l'incompiuta Achilleide, che descrive la vita di Achille fino alla sua partenza per Troia; le Silvae, raccolta in cinque libri di 32 componimenti poetici d'occasione, indirizzati agli amici del poeta e celebranti matrimoni, nascite, guarigioni, anniversari e morti. Quest'opera, che comprende pure descrizioni di viaggi, di ville e di opere d'arte, elogi dell'imperatore, nonché un commosso Epicedio in morte di suo padre, si segnala per la ricercatezza stilistica, ottenuta con l'impiego di metri differenti, per la cura formale e per il gusto dell'erudizione e della reminiscenza dotta. Massimo poeta epico dell'età flavia, S. attinse la materia dei suoi poemi dai grandi cicli mitologici tebano e troiano; tuttavia, soprattutto nella Tebaide, la narrazione risulta costituita da una serie di episodi giustapposti e privi di un vero elemento unificante; inoltre, rispetto al modello virgiliano, S. risulta talora incapace di dar vita a personaggi drammatici e vitali, plasmando invece una serie di figure astratte e incolori, mentre rari sono i momenti di vera poesia, commossa e partecipe. Assai ammirato ai suoi tempi e nella tarda età imperiale, S. fu addirittura esaltato nel Medioevo, che dei suoi poemi epici fece oggetto di studio: gli si attribuì una presunta conversione al Cristianesimo e lo si stimò degno della grazia divina, al punto che Dante lo ritrasse, nel Purgatorio (canti XXI-XXII), in procinto di giungere alla salvezza e alla beatitudine celeste (Napoli 45 circa - 96).